Secondo raccontino del sottoscritto, stavolta più malinconico e "serio". E anche più corto, il che non è da sottovalutare. Parla di un soldato e della sua esperienza sul campo di battaglia. Enjoy.
Corpi.
Nient'altro che corpi intorno a me. Alcuni hanno ancora scolpita nel viso
l'espressione che accompagnava il loro grido di battaglia. Altri, più sinceri,
hanno ancora l'espressione impaurita del momento in cui si sono resi conto che
la morte li avrebbe raggiunti. Ciò non li rende peggiori dei primi. Non c'è
niente di nobile nella nostra morte: che tu te ne vada con falsa fierezza o con
sincera paura, non fa alcuna differenza quando sei già tornato a far parte
della terra.
Sospiro e carico
il mio fucile, lo stesso con cui ho combattuto finora, lo stesso che ho
ricevuto il primo giorno che sono arrivato qui. Lo stesso con cui ho ucciso,
nel nome di un Paese che mi premia per mandare all'inferno queste persone.
Mentre il fucile scatta, realizzo che sono stanco. Stanco di combattere per una
guerra che non finirà mai, e che se finirà farà subito posto a un'altra, più
lunga. Più cruenta.
Non credo più
nella pace, come tutti i soldati che ho conosciuto. Tutti sono diventati
soldati o per la leva obbligatoria o per la prospettiva di un guadagno veloce,
nascondendosi dietro all'ideale di combattere per la propria patria, e se
necessario morire. Non c'è niente di nobile nella nostra morte, e non c'è
niente di nobile nella guerra. È solo una condizione perpetua di questo mondo.
Non credo nella pace, lo ripeto, perché se per mantenerla tutti devono essere
d'accordo, basta un solo uomo per scatenare una guerra. Mi pento solo di
essermene reso conto troppo tardi.
Mi trovo qui da
cinque minuti ormai. Guardo il cielo: è il tramonto... o forse l'alba? Buffo,
non riesco a ricordarmelo, per quanto mi sforzi. Sparo da talmente tanto che ho
perso la cognizione del tempo, da talmente tanto che non riesco a contare i
giorni che mi separano dalla prossima domenica, giorno in cui arrivano le
lettere da mia moglie. Continuo a rifletterci, ma il combattimento mi ha
alienato a tal punto da privarmi della percezione del tempo.
A casa, mia
moglie aspetta che ritorni. Per lei combatto, pur sapendo che non porterà a
nulla.
Eppure è così che
facciamo. Troviamo qualcuno da proteggere, e per farlo ci immischiamo in
imprese che vanno oltre le nostre capacità. Siamo egoisti, egoisti che tentano
l'impossibile per la paura di restare soli con la loro colpa: quella di non
essersi sforzati abbastanza. Ne siamo consapevoli, eppure ci amiamo. Eppure, al
di là della guerra, esiste un posto in cui io sono amato. Ma a che serve essere
amati, se tu per primo non ami te stesso? Io ho smesso di farlo la prima volta
che ho premuto il grilletto contro un nemico. Funziona così: premi un grilletto
e decidi la morte di un uomo. Un uomo che magari aveva una famiglia proprio
come te. Un attimo per decidere, un attimo per sparare e un attimo per
realizzare che quell'uomo non si rialzerà più. Una vita, per accettarlo, non è
sufficiente.
Andiamo, volete
ancora dirmi che combattere per il proprio Paese sia nobile? Che sia degno di
orgoglio scendere in campo come un soldatino di piombo contro altri soldatini
di piombo di diverso colore, mentre i nostri padroni si scannano tramite
minacce e insulti?
Il sorriso di mia
moglie. Un'immagine improvvisa che dal buio riaffiora alla mia mente.
Un'immagine così vivida che per un attimo mi dimentico dei cadaveri attorno a
me. Un suono, quello della sua risata, che risuona nella mia mente, così
intenso che non sento neanche più gli spari e le esplosioni.
Sento una voce:
dalla mia destra arriva un mio compagno. L'ho visto un paio di volte, non ne
conosco neanche il nome. Appena mi vede, impallidisce e mi raggiunge di corsa.
"Oh mio
Dio... n-non preoccuparti, adesso ti riporto indietro... troveremo un medico...
ce la farai!"
Frasi di rito,
frasi che io stesso ho pronunciato un sacco di volte, finché non ho smesso di
crederci: con me non attaccano. Mentre lui tenta di trascinarmi via, io guardo
insistentemente il cielo. Dunque ora tocca a me. Sono solo con me stesso e con
la mia colpa: quella di non avere resistito fino alla fine. Non rivedrò più mia
moglie, non la accarezzerò più, né la bacerò.
Di nuovo il suo
sorriso nella mia mente. Tipico di lei: anche se non me lo merito, ha deciso di
farmi quest'ultimo regalo. Forse lei mi perdorerebbe, alla fine.
Muoio solo, senza
fama e senza gloria, senza nessuna musica drammatica come succede nei film: la
colonna sonora della mia dipartita sono gli spari e le esplosioni, con piccoli
accenni della risata di mia moglie. Muoio, dopo aver portato con me dodici
soldati nemici. Eppure riesco a pensare solo a una cosa.
"Dimmi una
cosa..." dico al mio compagno. Lui mi guarda: sta piangendo.
"Il cielo...
è l'alba o il tramonto?"
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