sabato 17 maggio 2014

"Tra Alba e Tramonto" - Racconti

Secondo raccontino del sottoscritto, stavolta più malinconico e "serio". E anche più corto, il che non è da sottovalutare. Parla di un soldato e della sua esperienza sul campo di battaglia. Enjoy.

Corpi. Nient'altro che corpi intorno a me. Alcuni hanno ancora scolpita nel viso l'espressione che accompagnava il loro grido di battaglia. Altri, più sinceri, hanno ancora l'espressione impaurita del momento in cui si sono resi conto che la morte li avrebbe raggiunti. Ciò non li rende peggiori dei primi. Non c'è niente di nobile nella nostra morte: che tu te ne vada con falsa fierezza o con sincera paura, non fa alcuna differenza quando sei già tornato a far parte della terra.



Sospiro e carico il mio fucile, lo stesso con cui ho combattuto finora, lo stesso che ho ricevuto il primo giorno che sono arrivato qui. Lo stesso con cui ho ucciso, nel nome di un Paese che mi premia per mandare all'inferno queste persone. Mentre il fucile scatta, realizzo che sono stanco. Stanco di combattere per una guerra che non finirà mai, e che se finirà farà subito posto a un'altra, più lunga. Più cruenta.
Non credo più nella pace, come tutti i soldati che ho conosciuto. Tutti sono diventati soldati o per la leva obbligatoria o per la prospettiva di un guadagno veloce, nascondendosi dietro all'ideale di combattere per la propria patria, e se necessario morire. Non c'è niente di nobile nella nostra morte, e non c'è niente di nobile nella guerra. È solo una condizione perpetua di questo mondo. Non credo nella pace, lo ripeto, perché se per mantenerla tutti devono essere d'accordo, basta un solo uomo per scatenare una guerra. Mi pento solo di essermene reso conto troppo tardi.
Mi trovo qui da cinque minuti ormai. Guardo il cielo: è il tramonto... o forse l'alba? Buffo, non riesco a ricordarmelo, per quanto mi sforzi. Sparo da talmente tanto che ho perso la cognizione del tempo, da talmente tanto che non riesco a contare i giorni che mi separano dalla prossima domenica, giorno in cui arrivano le lettere da mia moglie. Continuo a rifletterci, ma il combattimento mi ha alienato a tal punto da privarmi della percezione del tempo.


A casa, mia moglie aspetta che ritorni. Per lei combatto, pur sapendo che non porterà a nulla.
Eppure è così che facciamo. Troviamo qualcuno da proteggere, e per farlo ci immischiamo in imprese che vanno oltre le nostre capacità. Siamo egoisti, egoisti che tentano l'impossibile per la paura di restare soli con la loro colpa: quella di non essersi sforzati abbastanza. Ne siamo consapevoli, eppure ci amiamo. Eppure, al di là della guerra, esiste un posto in cui io sono amato. Ma a che serve essere amati, se tu per primo non ami te stesso? Io ho smesso di farlo la prima volta che ho premuto il grilletto contro un nemico. Funziona così: premi un grilletto e decidi la morte di un uomo. Un uomo che magari aveva una famiglia proprio come te. Un attimo per decidere, un attimo per sparare e un attimo per realizzare che quell'uomo non si rialzerà più. Una vita, per accettarlo, non è sufficiente.
Andiamo, volete ancora dirmi che combattere per il proprio Paese sia nobile? Che sia degno di orgoglio scendere in campo come un soldatino di piombo contro altri soldatini di piombo di diverso colore, mentre i nostri padroni si scannano tramite minacce e insulti?


Il sorriso di mia moglie. Un'immagine improvvisa che dal buio riaffiora alla mia mente. Un'immagine così vivida che per un attimo mi dimentico dei cadaveri attorno a me. Un suono, quello della sua risata, che risuona nella mia mente, così intenso che non sento neanche più gli spari e le esplosioni.
Sento una voce: dalla mia destra arriva un mio compagno. L'ho visto un paio di volte, non ne conosco neanche il nome. Appena mi vede, impallidisce e mi raggiunge di corsa.
"Oh mio Dio... n-non preoccuparti, adesso ti riporto indietro... troveremo un medico... ce la farai!"
Frasi di rito, frasi che io stesso ho pronunciato un sacco di volte, finché non ho smesso di crederci: con me non attaccano. Mentre lui tenta di trascinarmi via, io guardo insistentemente il cielo. Dunque ora tocca a me. Sono solo con me stesso e con la mia colpa: quella di non avere resistito fino alla fine. Non rivedrò più mia moglie, non la accarezzerò più, né la bacerò.
Di nuovo il suo sorriso nella mia mente. Tipico di lei: anche se non me lo merito, ha deciso di farmi quest'ultimo regalo. Forse lei mi perdorerebbe, alla fine.
Muoio solo, senza fama e senza gloria, senza nessuna musica drammatica come succede nei film: la colonna sonora della mia dipartita sono gli spari e le esplosioni, con piccoli accenni della risata di mia moglie. Muoio, dopo aver portato con me dodici soldati nemici. Eppure riesco a pensare solo a una cosa.
"Dimmi una cosa..." dico al mio compagno. Lui mi guarda: sta piangendo.
"Il cielo... è l'alba o il tramonto?"

Nessun commento:

Posta un commento