Ero lì, stavo per mettermi a farlo, stavo per
scrivere della mia esperienza con Dark
Souls, delle bestemmie, della soddisfazione nel battere ogni boss, della
profondità delle meccaniche ruolistiche. Ho pure iniziato a scrivere qualche
riga.
Solo che.
Solo che, mentre scrivevo, avevo una strana
sensazione di deja-vu: stavo praticamente riscrivendo pezzi delle decine di
recensioni, commenti, opinioni, riflessioni che mi è capitato di leggere su Dark Souls, e indovinate un po’,
parlavano tutte delle bestemmie (perché non c’è una recensione di Dark Souls che non accenni alle
bestemmie, vi sfido a trovarla), della soddisfazione nel battere ogni boss,
della profondità delle meccaniche ruolistiche. Quindi mi sono detto: perché
aggiungere un tassello a un mosaico già finito? Che Dark Souls sia un bel gioco lo so io che l’ho giocato e lo sapete
voi ancor prima di visitare questo blog.
Quello che voglio fare ora è, prima di tutto,
proporvi, in maniera stringata, il mio parere su Dark Souls, in una recensione formato baby.
Dark Souls,
action-RPG che è difficile, muori spesso ma ti diverti, bestemmi molto (eccoci),
ambientazione fighissima, design dei boss ULTRA-FIGHISSIMO, level design
OMMIODDIO SPOSTATEVI TUTTI, gioco che forma il carattere. Difetti: un leggero calo
della profondità di gioco verso il finale, una fisica un po’ meschina
(volutamente?), il filtro di Instagram sparato sullo schermo ad ogni cambio di
ambientazione. Voto: 8.5. Fine, ciao, alla prossima.
Quello di cui voglio parlare oggi, egregi signori,
è il motivo per cui Dark Souls ha avuto il successo che ha avuto.
Dark Souls,
prima di tutto, sembra aver dimostrato che la difficoltà vende. Quello che
penso io, invece, è che non sia totalmente vero, anzi, forse forse non è vero
per niente.
Seguitemi in questo trip mentale, la questione è
un po’ complicata.
In parecchie recensioni leggo di giocatori che
riscoprono con piacere quel livello di difficoltà “hardcore” dei giochi di un
tempo, e ci sta. So bene quante volte il pad del NES o dello SNES è volato
contro la televisione durante una sessione a Super Mario, so bene che i giochi di una volta erano più difficili
(ed è vero, non è una questione soggettiva, i videogiochi degli anni 80-90
erano molto più punitivi rispetto ai pluricheckpointati di oggi), eppure sono
convinto che nessuno, ai tempi del primo Super
Mario Bros, lodasse il titolo Nintendo solo ed esclusivamente perché era
difficile. Mario non ha fatto della difficoltà il suo successo: non voglio dire
che non fosse impegnativo, ma il merito dell’idraulico era soprattutto quello
di proporre un platform basato su un level design sempre fresco e vario.
Perché? Beh, perché era lo standard. Passando agli anni 90-primi 2000, anch’io
ricordo che ci misi dei mesi per finire il gioco di Bugs’ Life per PS1. Eppure, quando ripenso a quel gioco non penso
alla difficoltà con cui l’ho portato a termine, quanto alle ore di divertimento
che mi ha dato.
La domanda, quindi, è: perché Dark Souls? Non è nemmeno così difficile, ma soprattutto non è nemmeno il
primo della sua stessa serie. Perché in pochissimi hanno giocato Demon’s Souls?
Sottolineo che non si sta cercando, da parte mia,
di minimizzare i meriti di Dark Souls,
che, ripeto, mi è piaciuto molto, seppur con i suoi difetti.
Il fatto che, ai giorni nostri, ci sia questo mito
della “grande sfida che i videogiochi non offrono più” sicuramente ha dato
linfa vitale a un gioco che altrimenti sarebbe stato nientemeno che un bel
gioco di nicchia, ma ancora non mi spiego l’atteggiamento di disinteresse verso
Demon’s Souls, che i più hanno
recuperato solo dopo aver finito Dark.
Il potere mediatico conta? Sì, conta tantissimo. E
non parlo tanto delle recensioni (che comunque condizionano non poco le menti
dei lettori), quanto dell’influenza che possono avere persone come gli youtuber
che fanno gameplay. Ora non voglio aprire la questione su questo genere di
youtuber perché poi non ne esco più, ma dico solo che anch’io mi sono divertito
molto a vedere yotobi giocare a Dark
Souls e che questo è sicuramente stato un incentivo all’acquisto. Eppure
non mi sento di dire che l’intero successo commerciale di questo gioco sia da
imputare ai soli gameplayers.
La verità è che, per quanto sembri scontato, non
ci sono leggi assolute che determinano se un gioco venderà o meno. Il successo
di Dark Souls (e del suo seguito e,
solo dopo, del suo predecessore) è arrivato inaspettato così come, contro ogni
previsione iniziale, la carriera dell’idraulico Nintendo si sta rivelando
fiorente e prospera. Alla fine si tratta di un action-RPG classico, per niente
innovativo, e che basa la sua difficoltà in gran parte su punizioni e fisica bastarda.
Formula che funziona, ripeto, ma che non dovrebbe fare da appoggio a tutto il
gioco. Nel mulino che vorrei, Dark Souls non dovrebbe vendere perché è
difficile, ma perché è divertente, e la cosa ironica è che fa proprio questo,
solo che la maggior parte degli acquirenti non se ne rende conto: comprano un
gioco perché leggono che è difficile e si trovano tra le mani un’avventura
epica in grado di trasmettere grandi emozioni.
Questo è
Dark Souls, non “il gioco difficile”:
il gioco emozionante. Il fatto che abbia totalizzato oltre due milioni di copie vendute dipende, probabilmente, da questo fatto, perché un gioco difficile non è necessariamente divertente.
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