È successo in un attimo: il vento si è levato e
Miyazaki ha salutato il mondo dell’animazione. Quasi cinquant’anni di carriera,
che se ne vanno così, in un soffio (appunto) di vento. E l’ultima pellicola del
maestro è un film tanto poetico quanto controverso. Forse non il più riuscito,
ma sicuramente uno dei migliori.
Si alza il
vento è la storia vera (ma molto romanzata) di Jiro Horikoshi, visionario
ingegnere progettista degli aerei A5M e A6M Zero, usati dal Giappone nella
Seconda Guerra Mondiale. È innanzitutto la storia del sogno di un volo, il
desiderio di librarsi nel cielo ed essere liberi, liberi dal mondo, da tutto.
Ma Jiro Horikoshi non è Porco Rosso, è un ragazzo che, essendo miope, non può
pilotare aerei. Decide quindi di dedicare la vita a permettere a chi, con lui,
condivide il sogno del volo, di realizzarsi.
È una storia costantemente sospesa tra sogno e
dura realtà, tra successi e (soprattutto) fallimenti, tra passione per il volo
e l’amore per Nahoko, la donna della sua vita. I temi di Miyazaki ci sono
tutti, dalla classica (e ovvia in questo caso) ossessione per il volo, all’importanza
delle donne, ai richiami all’Italia (qui fortissimi) e, udite udite, all’antimilitarismo.
Perché Miyazaki tenta l’ardua impresa di esaltare
la figura di un uomo che, alla fine della fiera, ha costruito macchine da
guerra. Ci prova in tutti i modi, a far trasparire il suo odio verso i
conflitti armati. E ci riesce? Per quanto mi riguarda, sì. L’opinione che ne
risulta è che Jiro sia stato vittima del periodo storico in cui ha deciso di
progettare aerei, un periodo in cui, se costruivi qualcosa, dovevi metterci
sopra come minimo una mitragliatrice.
Jiro resta comunque un personaggio controverso,
atipico rispetto agli eroi miyazakiani. Spesso non si capisce cosa stia pensando,
non è ben chiara la sua posizione rispetto al senso di colpa per aver costruito
degli aerei da guerra.
E forse è proprio la mancanza di chiarezza il
maggior difetto di Si alza il vento.
Sia chiaro, di Miyazaki mi è sempre piaciuto il fatto che non ti spiegasse mai
niente, ma che tutto fosse lasciato agli occhi e alle orecchie dello spettatore,
e in questo senso l’ambiguità di Jiro mi piace. Ma la prima ora di film sembra
un accostamento un po’ pretenzioso di spunti narrativi, in cui non si capisce
bene dove l’autore voglia andare a parare. Con la seconda ora, però, la trama
prende una direzione definita e scivola benissimo fino al malinconico finale.
Nonostante l’incertezza della prima fase, Si alza il vento è un film da vedere.
Anche solo per la qualità dell’animazione, anche solo per la qualità della
colonna sonora (Hisaishi: un nome, una garanzia), anche solo perché è l’ultimo film di Miyazaki. L’ambizione, l’amore
per Nahoko, i sogni con il conte Caproni, si intrecciano in una trama che
saluta in modo più che dignitoso Hayao Miyazaki.
E ora che il Maestro non è più in scena, come
affrontare la depressione? Beh, forse la risposta va cercata nel film stesso.
Le vent se
lève!... il faut tenter de vivre.
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