Premessa? E premessa sia.
Per come la vedo io, non si può dare un voto a The Stanley Parable. Non c'è un gameplay, non c'è nemmeno una vera e propria trama: fatico a definirlo un videogioco. Cos'è, allora, The Stanley Parable? Semplicemente, è una riflessione. Un esperimento, che si propone di mettere in luce la natura stessa del medium videoludico, per farne emergere le debolezze e le contraddizioni.
Esperimento riuscito?
È difficile parlare di quest'avventura senza fare spoiler, ma ci si prova. Quelle che seguono, se non avete provato il gioco, sembreranno per lo più divagazioni deliranti di un povero pazzo, ma se siete come me le troverete la questione terribilmente affascinante.
Le tematiche affrontate da The Stanley Parable sono chiarissime (fin troppo, forse): la scelta e l'illusione che essa genera nel momento in cui viene inserita in un videogioco. L'illusione data al giocatore di essere davvero il padrone della storia, quando ciò (udite udite) non è possibile, perché ovviamente i signori sviluppatori hanno previsto ogni possibile alternativa. Laddove la loro previsione non arriva, sorge il bug.
E questo è il concetto sostanziale che Stanley cerca di farci comprendere: non importa cosa ti dice il gioco, tu giocatore non sei libero. O scegli una strada prevista e quindi segui le tracce lasciate dai programmatori, o scegli la strada proibita e non arrivi da nessuna parte, e l'unica cosa da fare è ricominciare il gioco. Volendo, è possibile completare l'avventura in una decina di minuti: basta sottostare alle regole dei designer e fare tutto ciò che ordina un Narratore (doppiato ad arte, tra l'altro). Oppure si può sfidare l'autorità dell'autore e cercare di opporsi al gioco. Ma opporsi al gioco mentre si gioca è come opporsi al mondo mentre si vive: non si può, neanche morendo, perché anche la morte fisica fa parte del mondo, così come la morte dell'avatar fa parte del videogioco.
E ancora, chi è Stanley? Stanley è un impiegato in una grande azienda il cui lavoro consiste nello stare tutto il giorno davanti a un computer a premere i tasti che vengono visualizzati sullo schermo. Non vi fa scattare niente nella testa?
Così quindi The Stanley Parable collega il suo medium al mondo reale, con un protagonista che ci è più vicino di quanto pensiamo. Che differenza c'è tra il lavoro di Stanley e il nostro giocare alla sua Parable?
Ma allora, se Stanley non poteva davvero scegliere, noi possiamo farlo, nella nostra vita? Possiamo intraprendere strade che il mondo non possa contenere?
Più scrivo e più mi rendo conto di sembrare Nietzsche in quella fase della sua vita in cui parlava con i cavalli.
Queste divagazioni che potrebbero andare avanti all'infinito, unite a un'umorismo originale e che funziona creano The Stanley Parable, videogioco che riflette su se stesso.
Esperimento riuscito? Sarò onesto: prima di scrivere questo post, ero sul no. Fondamentalmente perché, che le scelte non fossero mai davvero scelte, lo sapevo già, non mi ci voleva un gioco pagato cinque euri su Steam per capirlo. Ma, al momento della stesura, mi sono scoperto a fare delle riflessioni da cui sono scaturite le righe precedenti. E da lì l'illuminazione: era questo lo scopo. Perché alla fine lo sappiamo tutti che siamo "schiavi" dell'avventura che stiamo giocando, ma ci avevamo mai pensato in questo modo? Avevamo mai esteso questa riflessione al mondo che noi reputiamo reale?
Queste e altre masturbazioni mentali possono scaturire solo da The Stanley Parable, indagine metafisica sul videogioco e sul videogiocatore attraverso se stessa. Esperimento riuscito.
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