sabato 15 dicembre 2012

Recuperando: Max Payne (PS2)

È che la saga dell'ex poliziotto assetato di vendetta mi ha sempre suscitato un certo interesse, e avendo trovato i primi due episodi a cinque sacchi l'uno, non si poteva dire di no.
Stamattina ho finito il primo, grazie alla santa neve che fa chiudere le scuole alla febbre che mi autorizza a non studiare. Mi mancavano le giornate così.


Dunque, per cominciare, Max Payne è EVIDENTEMENTE un gioco dei primi anni di vita di PS2. Anzi, considerando che è uscito prima su PC e poi è stato fatto un porting su console, si notano delle evidenti "limature" al comparto grafico. Non che la cosa abbia tutta questa importanza.

Max Payne è la cruda storia di un poliziotto che, tornato a casa dal lavoro, scopre che qualcuno gli ha fatto questa cosa poco simpatica di ammazzargli la moglie e la bambina. Pistola alla mano, Payne per tutto il gioco scatena un inferno, facendo strage di tutte le famiglie mafiose che potrebbero avere qualche legame con la morte della sua famiglia. Fine.
Si può capire quindi come il gioco non si faccia troppe pretese, niente colpi di scena eclatanti: solo tanta, tanta azione. E in effetti MP FUNZIONA, rappresenta il precursore degli attuali sparatutto in terza persona, e, mentre lo si gioca, si avverte come non ci sarebbe mai stato nessun Uncharted senza Max Payne.


Domanda: cosa rende tanto fighi i film d'azione a base di sparatorie?
Le scene al rallentatore.
E Rockstar, i cui sviluppatori, oltre a game designer, si sa, sono anche un po' registi, lo sa bene, e ha ben pensato di mettere in Max Payne questa cosa che premi un tasto e tac, il tempo rallenta. Così puoi prendere il tempo che ti serve per mirare e usare quei pochi colpi che bastano per ogni nemico, il tutto mentre ti butti di corsa in mezzo alla mischia, e senza perdere un velo di carisma. In Max Payne, così come in tutti quei fantastici sparatutto per PC dell'era dei fantastici sparatutto (Half-Life FTW), non ci sono coperture. Perché si suppone che tu ti butti (letteralmente) tra i proiettili che la brutta gente ti spara addosso e, al rallentatore, spacchi qualche culo.
Al massimo poi ti imbottisci di antidolorifici.

"I believe I can flyyyyy"

Peccato per qualche imperfezione, tuttavia. Soprattutto per i rallentamenti, capisco lo sforzo grafico che richiedeva ai tempi, ma in un gioco come questo la fluidità è essenziale.
E poi, i controlli: ok che se giocato su un televisore di ultima generazione (fai penultima, va') il gioco ci perde, ma non mi spiego perché la visuale debba rispostarsi al centro dello schermo ogni volta che muovo il personaggio. È una cosa fastidiosissima, sarei morto molte meno volte se l'avessero levata. Poi magari esiste un'opzione per toglierla e io mi sono fatto tutto il gioco senza saperlo, allora abbasserò il capo e ritirerò tutto. Non senza vergogna.

Ad ogni modo, poc'anzi si parlava di regia.


Per quanto la trama possa essere semplice, Rockstar non si è mai accontentata di mettere la storia in secondo piano. E infatti quei geniacci hanno ben pensato di prendere le battute dal libro a cui si ispira la storia e ficcarle dentro a delle belle sequenze a fumetti. 
Ecco dunque che il personaggio di Max esce dalla banalità del killer incacchiato col mondo e spara delle metafore, delle figure retoriche da far accapponare la pelle. Ogni goccia del suo tormento traspare da ogni parola, merito anche del doppiaggio davvero ottimo.

Ricapitolando: un gameplay divertente e coinvolgente (pur con qualche magagna) e un protagonista indimenticabile. Se non l'avete mai giocato, recuperatelo, possibilmente per PC, in modo da risolvere i problemi grafici. Oltretutto è per PC che è stato concepito.



Nessun commento:

Posta un commento