Ci avevo giocato un bel po’ di tempo fa ma, per un
motivo o per un altro, non ne avevo mai parlato qui, sul blog. Ed è un peccato,
perché Dustforce, platform che ho rispolverato
(Ah-ah, simpatia esplosiva ON) proprio in questi giorni, è un gioiellino del mercato indie.
Dustforce
è il gioco a prova di madre. Quando lei entra nella vostra stanza e si lamenta
del disordine che popola ogni anfratto della vostra Bat-Caverna (perché ogni
vera Bat-Caverna è disordinata) e si lamenta del fatto che i vestiti
abbandonati sul letto hanno preso vita propria e dichiarato guerra ai libri
sparsi sul tavolo, voi potete semplicemente rispondere “Madre mia, sto pulendo”,
esibendo la vostra migliore faccia da marchese rinascimentale pieno di sé e
continuando a giocare a Dustforce.
Non funzionerà mai, ma almeno avrete detto la verità: lo scopo di Dustforce, infatti, è nientemeno che ripulire
i livelli dal lerciume.
I quattro protagonisti sono dei veri e propri
ninja della pulizia, che hanno lo scopo di ripulire le varie zone del gioco nel
modo più spettacolare e veloce possibile. Questo è Dustforce: un platform bidimensionale che fa dello speedrun la sua
prerogativa principale, tentando (con successo) l’ardua impresa di rendere le
pulizie una cosa divertente. Affrontare i livelli con calma e tranquillità è
possibile, ma poco divertente e ancora meno appagante.
Questo perché Dustforce
fa leva sulla nostra vanità, sul nostro voler essere assolutamente e
indiscutibilmente, passatemi il termine, fighi.
Non a caso è presente un sistema di valutazione della “Finesse” e la
possibilità di salvare i replay delle vostre run. Quale piacere migliore del
rivedere le proprie performances mentre si salta da una parete all’altra,
spazzando polvere o foglie secche, senza mancare un colpo e terminando con una
valutazione di S sullo stile e sulla completezza?
Nessun piacere migliore, appunto, specialmente
perché ottenere una doppia S è molto, molto difficile. Occorre molta pratica
per imparare a padroneggiare al meglio i comandi (che permettono di saltare,
fare un doppio salto, correre sulle pareti, sferrare un colpo rapido e un colpo
potente) e, quando penserete di essere diventati esperti nei controlli di un
protagonista, incapperete in un livello che vi costringerà ad usarne un altro.
I quattro protagonisti di Dustforce, infatti (Inserviente, Inserviente Donna, Ragazzina che
vende i biscotti e Nonno Laser) hanno uno stile di movimento unico, e alcuni
livelli, per ottenere una doppia S, hanno bisogno di determinate acrobazie che
solo un certo personaggio riesce ad eseguire. Capire quale sia il migliore sta
a voi, così come farvi le ossa con il sistema di controllo che, sebbene
richieda molta tecnica, non è esente da qualche imprecisione (soprattutto sul
salto a parete). Il maggior difetto di Dustforce,
ecco, è proprio quello di abbandonare il giocatore a se stesso, col rischio di
farlo rotolare da una curva della difficoltà ripidissima, giù verso l’abbandono
del gioco.
Ma chi riesce a resistere può godersi un platform
originale, divertente, longevo (se siete completisti) e dannatamente appagante.
Solo, non rigiocateci dopo un anno (come ho fatto io): vi scoprirete incapaci.
Ma proprio incapaci.
VOTO: 8
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