mercoledì 11 settembre 2013

Don't Starve, per l'amor di Dio

È da un paio di settimane ormai che Don't Starve è nel mio PC, nella mia lista di Steam. Ci sono volute parecchie ore di gioco per giungere ad una conclusione, perché Don't Starve ha bisogno di tempo per essere capito. E ho capito che è una delle migliori esperienze che il mercato indie può offrire.


Sia chiaro, Don't Starve è un'ottima esperienza, a patto che amiate il genere survival puro, ovvero giochi in cui sopravvivere ha un'utilità fine a se stessa, senza una qualche trama o obiettivo secondario ad addolcire la pillola. 

Questi mostri sono tenaci come pochi al mondo.
E la pillola avrebbe davvero bisogno di essere addolcita, perché quello che si nasconde sotto la (bellissima) grafica fumettosa di Don't Starve è un mondo duro e spietato, che se non ti ingegni in fretta ti uccide in un giorno.
Ogni partita a Don't Starve comincia in questo modo: dopo che il gioco ha generato un mondo ogni volta diverso da quello precedente, ci risvegliamo in un punto totalmente a caso dello stesso, senza sapere cosa fare né dove andare. Si comincia raccogliendo tutto quello che si può: qualche rametto, dei fili d'erba, bacche, carote, sassi, se si è fortunati anche dell'oro, finché non si sente un certo segnale e una lampadina compare accanto all'icona "Tools": è il segnale che possiamo iniziare a costruire qualcosa. Apriamo il menu e fabbrichiamo la nostra prima ascia. Tutti contenti per il nostro nuovo giocattolo, andiamo ad abbattere qualche albero e, di conseguenza, a ricavare un po' di legna che ci servirà per passare la notte.

L'inizio di ogni partita. Ma chi è quell'uomo?
Perché sì, di notte è dannatamente buio, e nel buio vagano delle bestie misteriose e, come insegna Pikmin, letali. Occorre quindi accendersi un fuoco e, ehi, quella legna appena ottenuta può farci comodo. L'importante è averne un po' anche per alimentare la fiamma. Visto che di notte non si può far molto e lo stomaco brontola, meglio mangiare quelle bacche, e magari le carote ce le teniamo per catturare qualche coniglio dopo aver costruito un'adeguata trappola.

Quest'immagine, 9 volte su 10, significa MORTE.
È la mattina del secondo giorno: abbiamo resistito 24 ore (compresse in un quarto d'ora effettivo, ma vabbè) nel mondo di Don't Starve. Ora abbiamo ancora fame, siamo senza risorse e degli inquietanti mostri vogliono ucciderci.

Ne passerà di acqua sotto i ponti prima di costruire una cosa del genere...
Ecco, quello che vi ho appena raccontato rappresenta il 5% di quello che si può fare in questo gioco. È incredibile come alla ormai decima partita ci si imbatta ancora in cose mai viste, in oggetti misteriosi di cui carpire i segreti, per imparare magari a diventare amico di maiali antropomorfi o a evocare qualche creatura pericolosa. Oppure, in materiali per costruire una casa, un frigorifero per conservare gli alimenti, o semplicemente dei vestiti nuovi. Tutto sempre facendo attenzione a non morire di fame: "Don't starve", appunto. 

Come sopra, aggiungendo il fatto che bisogna anche ripararsi dal freddo.
Quando, per disgrazia, si muore, si ricevono punti esperienza in proporzione al numero di giorni di sopravvivenza, punti che servono a sbloccare nuovi personaggi, ognuno con delle particolari debolezze e punti di forza. Ovvio che morire dopo essere sopravvissuti 50 giorni e aver costruito un impero può essere spiazzante e può demotivare a iniziare un'altra partita, ma del resto è il rischio di questo genere. Ma credo che anche 50 giorni filati di sopravvivenza non bastino a scoprire tutti i segreti di Don't Starve, gioco ricchissimo e dalle meccaniche profonde che premia la dedizione ed è pure, tra l'altro, in costante aggiornamento da parte degli sviluppatori e da parte degli utenti, con le loro mod.


Insomma, una perla.





Ah, nel frattempo mi sto dedicando anche ad un altro gioco, completato finora al 60%. Un gioco che ha fatto tanto parlare di sé, nell'ultimo anno, presto su questo blog.


BEST GAME EVER. No, sul serio.

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