lunedì 1 ottobre 2012

Viaggi meditamentosi e Sacre Conversazioni - capitolo 1

Se esiste qualcosa in grado di irritarmi, questo qualcosa sono i semini degli acini d'uva: il frutto in sè è squisito, succoso, ma addentando il famigerato semino la rabbia e lo sconforto prendono il sopravvento sulla gioia e sull'entusiasmo. Fu mangiando il mio primo grappolo d'uva che capii come il Male si annidi ovunque, soprattutto in ciò che sembra Bene, pronto ad ingannarci e a deluderci. Ordunque, da quel giorno i semini dell'uva mi terrorizzano. O meglio, mi terrorizza ciò che essi rappresentano. Voi avreste mai paura di un semino? No, certo. Effettivamente non è esso la causa del mio malessere, quanto il concetto di semino in sè: se esso è presente nell'uva, perchè non dovrebbe essere anche dentro di me? Fu così che decisi di partire per un viaggio alla ricerca di me stesso, alla ricerca del mio semino.

Quale meta scegliere per l'inizio del mio pellegrinaggio? Optai per la Cambogia, celeberrima per le sue atmosfere oniriche e i suoi luoghi ricchi di bellissimi fiori e rigogliosa vegetazione, capaci di immergerti totalmente nello stato d'animo più consono all'interiorizzazione delle paure e all'introspezione del tuo io, anche perchè a volte piovono scoiattoli. Mi recai immediatamente su un'altura per ammirare il panorama, ma il panorama non c'era; in compenso, il cielo era ricco di mio nonno. Ero sbigottito, frastornato, non capivo come fosse possibile che mio nonno fosse dappertutto nel cielo; cercai di non pensarci per non sprofondare nella pazzia e mi incamminai di buon passo verso una piantagione di albicocche. Pare che in Cambogia venga coltivata una particolare varietà di albicocche: esse hanno la forma che ricorda molto quella di una pera e pare che crescano non su alberi di albicocche ma di pere; mentre proseguivo il mio cammino mi chiesi se effetttivamente in Cambogia non si coltivassero pere che si fingono albicocche, ma la visione di mio nonno dappertutto mi impediva di essere razionale e non riuscii a venire a capo di questo mistero. Giunto che fui al campo di albicocche, le albicocche non c'erano. La piantagione era ricolma di ricordi e rimpianti di un uomo solo con se stesso, triste, angosciato e allettato dal pensiero della morte, disinteressato alla vita. Era sera ormai, e nemmeno le stelle poterono sopportare quel concentrato di emozioni; assistevo a questo vortice raccapricciante di negatività e non riuscivo a muovermi. Il cuore mi batteva all'impazzata. Poi arrivò una tempesta di scoiattoli che cancellò la tristezza e portò tanti limoni. L'esperienza della Cambogia mi aveva profondamente cambiato, il mosaico della mia redenzione si era arricchito di un nuovo tassello. Ora ero pronto per ripartire verso una nuova meta, ma prima c'era una cosa che dovevo fare: tornai sull'altura e fotografai mio nonno dappertutto.

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