lunedì 5 gennaio 2015

Child of Light, la recensione che tutti si aspettavano

Che Child of Light mi sia piaciuto un sacco, dopo lo scorsopost, non è certo un segreto. Ma devo confessarvi che, al momento della stesura della top ten, l’avevo finito da pochissimo ed ero ancora preso dall’emozione. Oggi, più di una settimana dopo, a mente fredda, devo dire che… no niente, Child of Light è un gioco meraviglioso.



Child of Light è l’affascinante fiaba che narra le avventure della piccola Aurora, principessa d’Austria armata di una spada grande quanto lei, nelle misteriose terre di Lemuria. La trama procede spedita dall’inizio alla fine, senza sconvolgere troppo; ma l’originalità narrativa del titolo non sta affatto nell’intreccio, bensì nella coraggiosissima scelta di raccontare il tutto in rima: voce narrante, dialoghi, documenti collezionabili… sono tutti in rima, e non solo, sono pure ben riusciti. La nostra amata lingua sopravvive all’adattamento e fa la sua sporca figura, conferendo a Child of Light un’atmosfera unica, completata dalla direzione artistica.


Una direzione artistica che, almeno dal mio punto di vista, sorpassa quella di Valiant Hearts sia graficamente (anche se si tratta di stili diversi: è un parere totalmente soggettivo) che, soprattutto, nell’imponente colonna sonora, il cui tema principale dovrebbe essere ricordato accanto alla One Winged Angel di Final Fantasy VII.


Ma non di sola arte vive l’uomo (e il videogioco), e Child of Light non sarebbe sicuramente finito al secondo posto della Top Ten se non mi avesse colpito anche da un altro punto di vista: quello del gameplay. La fiaba di Ubisoft propone dei combattimenti a turni ottimamente calibrati, alternati a fasi di esplorazione di scenari bidimensionali che si sviluppano in ogni direzione, grazie alla capacità di Aurora di volare. Gli scenari, oltre a essere bellissimi, sono vastissimi e ricchi di forzieri, che contengono oggetti curativi o oculi, delle pietre che è possibile equipaggiare per migliorare le statistiche dei personaggi. Più oculi possono essere uniti per formarne altri più potenti, e sta al giocatore fare i dovuti esperimenti per diventare un esperto… ehm… oculista?


I combattimenti, dicevo, sono a turni e davvero ben riusciti: in particolare, da quando Finn entra nella squadra, la componente strategica si impenna notevolmente e rende l’esito di ogni scontro assolutamente non scontato. Vincente, contro quanto si possa credere all’inizio, l’idea di permettere al giocatore di formare un party di soli due personaggi: ben presto si impara quale personaggio sia più adatto in una certa situazione e si diventa abili nello “switch” durante la battaglia. Ogni singolo membro della compagnia di Aurora è unico e con abilità liberamente sviluppabili, mentre Igniculus, che è praticamente la fata di Zelda a forma di goccia, può essere utilizzato in battaglia per rallentare i nemici o curare gli alleati (finché ha abbastanza energia per farlo).


Tutti questi elementi rendono Child of Light un gioco di ruolo non dico difficile, ma impegnativo, specialmente se affrontato al livello di difficoltà più alto. Forse i combattimenti contro i boss diventano abbastanza facili una volta che si sconfiggono i nemici di contorno, ma Child of Light resta una sfida senza vergogna che appassiona con la sua profondità, insolita per un titolo da quindici euro, che diverte per almeno dieci ore e che, quando finisce, lascia un senso di vuoto, un desiderio di dimenticarsene solo per scoprirla di nuovo.
Assolutamente non banale e dalla potenza poetica smisurata, Child of Light mi ha fatto concludere il 2014 videoludico con un occhio ottimista verso il futuro.


VOTO: 9.5

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